lunedì 28 agosto 2017

61. Mary Shelley - Frankenstein

Come si fa a parlare di un classico della letteratura come "Frankenstein" di Mary Shelley? Si è scritto, pubblicato, filmato di tutto e di più, tanto che forse l'opinione pubblica ne è stata un tantino sviata. Eppure è un romanzo di una semplicità e al contempo di una potenza di messaggio vivissima ancora al giorno d'oggi.

Ci sono tutta una serie di immagini e concetti su "Frankenstein" divenuti ormai popolari ma che nulla hanno a che fare con l'originale. Il mostro si chiama Frankenstein? Lo scienziato pazzo incanala un fulmine per svegliare la sua creatura? Esiste davvero l'aiutante gobbo Igor? E il mostro se ne va davvero in giro come un armadio col parrucchino muggendo?
Queste e tante altre sono le più comuni inesattezze che circolano sul romanzo di Mary Shelley, che forse pochi hanno letto, ma che moltissimi citano forti di aver visto due o tre adattamenti cinematografici. Lo dirò chiaramente: non esiste un film su Frankenstein che sia minimamente soddisfacente, secondo me.

Tornando al romanzo, due parole di presentazione. Mary Shelley pubblicò due versioni della storia, quasi identiche, una nel 1818 e l'altra nel 1831, contenente qualche revisione. Vale la pena ricordare che la prima edizione uscì anonima; Mary infatti era giovanissima e all'epoca era considerato immorale per una donna fare la scrittrice. Il suo nome compare soltanto dalla seconda edizione in poi, quando la storia era ormai divenuta famosa. Non che Mary avesse molta reputazione da difendere...
Mary Shelley, nata Godwin, fa parte dei più importanti scrittori romantici di prosa (insieme a Walter Scott e Jane Austen, che spesso viene scambiata, ahimè, per una scrittrice vittoriana...) e il cognome rivela la sua relazione con il celeberrimo poeta Percy Shelley. Mary era figlia d'arte: il padre William Godwin era un filosofo, giornalista e politico radicale, considerato uno dei primi sostenitori dell'anarchia; la madre Mary Wollstonecraft una scrittrice, considerata una delle fondatrici del femminismo e autrice del celebre "A Vindication of the Rights of Woman", in cui sostenne, tra l'altro, la necessità di educare le ragazze.
Mary fuggì di casa appena diciassettenne con il poeta Shelley, che all'epoca era già sposato, e con lui ebbe una figlia, purtroppo morta ancora neonata. Si sposarono due anni più tardi, nel 1816, dopo che la prima moglie di Shelley si fu suicidata; da lì in avanti la coppia, insieme ad alcuni amici intellettuali, tra cui il poeta e mito romantico Lord Byron, viaggiarono spesso per l'Europa.
Ecco, questo giusto per dire che la nostra Mary partiva già abbastanza svergognata, ma evidentemente il mestiere di scrittrice l'avrebbe davvero posta alla pari di una meretrice nella percezione generale...

Il romanzo "Frankenstein" nacque proprio, secondo la leggenda e anche secondo la Prefazione dell'autrice (che probabilmente invece fu scritta dal marito), in occasione di uno di questi viaggi.
Il 1816 fu un anno difficile per quasi tutto il globo. In seguito a una drammaticissima eruzione vulcanica in Indonesia (eruzione del monte Tambora) del 1815, tutto l'Emisfero Boreale nel 1816 visse quello che è conosciuto come "l'anno senza estate". Percy e Mary Shelley decisero di trascorrere questo simil-inverno in Svizzera, a Ginevra, ospiti di Byron. Essendo le condizioni meteorologiche penose (come d'altronde ci si poteva anche aspettare, nella soleggiata Svizzera...), gli amici optarono per attività indoor, tra cui la lettura di racconti di fantasmi. Da qui si generò una sfida: chi dei presenti sarebbe stato capace di scrivere la migliore storia del terrore? Ecco, mentre i maschietti presenti si deliziavano con racconti più o meno completi (e sicuramente poco famosi al giorno d'oggi), la nostra Mary gettava le basi di quello che sarebbe diventato un intero romanzo.

Il titolo completo del romanzo, che pochi apparentemente ricordano, è "Frankenstein; or, the modern Prometheus", facendo riferimento al Prometeo della mitologia greca. Chi era costui?
Prometeo, della stirpe dei Titani, appare in diversi episodi mitologici, in versioni più o meno contraddittorie e sviluppate nel corso dei secoli, da Esiodo a Platone. Alcune storie lo identificano come il creatore dell'umanità, altre ridimensionano il suo ruolo, facendone il benefattore: di certo è colui che rubò il fuoco agli dei per donarlo agli uomini, venendo per questo punito crudelmente da Zeus: il mito vuole che il buon Prometeo sia incatenato ad una roccia per l'eternità e che ogni giorno un'aquila vada a beccargli via il fegato, che poi prontamente ricresce.
Quindi perché mai Mary Shelley avrebbe dovuto scegliere di associare il suo romanzo a una storia simile?
Ci sono diverse possibili risposte a questo quesito. Sicuramente i punti cruciali su cui si attrae l'attenzione del lettore sono tre: l'atto della creazione, il simbolo del fuoco e le conseguenze delle proprie azioni. E guarda caso questi sono anche, in buona parte, gli elementi fondamentali del libro.

Protagonista è appunto Frankenstein, Victor Frankenstein, giovane scienziato, che scopre il modo di ricomporre un corpo simil-umano e di infondergli la vita. Ciononostante, non appena la sua creazione apre gli occhi, Victor è così orripilato dalle proprie azioni che fugge, lasciando la creatura da sola. Quando molte ore più tardi rientra a casa è sollevato nel non trovarla più e pensa di essersene liberato. La creatura, però, è viva e, dopo alcuni incontri ravvicinati con gli umani andati decisamente male, si è rintanata nei boschi, dove invece vive felice e trova tutto ciò di cui ha necessità. Qui impara a parlare, ascoltando di nascosto una famiglia, poi a leggere; e alcune delle letture che fa influiscono fortemente sulla sua capacità di leggere il mondo e la propria vita. Decide quindi di risalire alle proprie origini, cioè al proprio creatore, Frankenstein. E' a questo punto che le loro vite si intrecciano nuovamente: la creatura scopre la città di origine dello scienziato, Ginevra, e vi si reca, in attesa. Purtroppo qui ha un incontro sventurato proprio col fratellino di Frankenstein e in un moto violento lo uccide. Questo è il primo di una serie di omicidi che distruggono un pezzo alla volta la vita affettiva dell'uomo; rimasto solo al mondo non gli resta che giurare vendetta e promette di trovare la creatura e di distruggerla, anche a costo di inseguirla in capo al mondo.
Infatti è proprio qui che li incontriamo per la prima volta, al Polo Nord. La storia è raccontata attraverso una serie di lettere, che a loro volta riportano diversi punti di vista che si intersecano e completano l'un l'altro. Sebbene il narratore principale sia Frankenstein, che confessa la propria drammatica storia, abbiamo altre due voci primarie: la creatura stessa, che parla sia attraverso il racconto di Frankenstein che dal vivo, alla fine, e Robert Walton, un giovane aspirante esploratore del Polo Nord, imbarcato su una nave con l'intenzione (suicida) di trovare una rotta per attraversare il Polo via mare. Walton rappresenta la cornice del romanzo: è colui che scrive le lettere, colui che ascolta la triste confessione di Frankenstein e infine colui che vede e parla con la creatura, potendone quindi confermare l'esistenza.

Leggendo, la mia prima impressione è stata di totale empatia con la creatura. Si sarà notato come mi sia rifiutata, fin qui, di chiamarlo "mostro"; non è stato casuale. Viene davvero da chiedersi chi sia il vero mostro all'interno di questa storia: la scellerata vittima di una creazione immonda o il creatore che quell'essere l'ha voluto e poi abbandonato? Victor Frankenstein è un uomo egoista ed egocentrico, tendenzialmente asociale, sicuramente incapace di assumersi le proprie responsabilità. Inoltre è pervaso da una bruciante sete di conoscenza, che diventa per lui un mezzo di affermazione di sé come essere umano di valore. Ha anche il tocco tipicamente romantico della drama queen, il nostro Victor, perché riesce a cadere in stato comatoso ogni volta che si trova in situazioni stressanti; roba che nemmeno Dante all'inferno, proprio...
Dall'altra parte abbiamo, appunto, la sua creatura, che nemmeno ha un nome. No, nemmeno quello ha fatto il creatore, neppure l'atto primo del riconoscimento di una vita, di un'identità: dare un nome. E' un essere mostruoso, enorme e sfigurato, perché così è stato assemblato, senza particolare attenzione per l'estetica. E' fortissimo, più resistente dei comuni mortali alle intemperie, alla fame e alla sete, alle ferite e alle malattie. Sarebbe un supereroe in potenza, la creatura, se non fosse un essere completamente isolato, rifiutato da qualsiasi società civile e anzi insultato e ferito. Si trova a vivere in un mondo di cui non conosce nulla, perché è proprio come un bambino neonato. Da solo scopre la fame, la sete, il freddo; da solo deve porre un rimedio ai propri problemi, sopperire alle proprie necessità. Non si può non empatizzare con la creatura, almeno un pochino, nonostante la furia vendicativa che più tardi la spinge ad uccidere diversi innocenti.
Victor e la sua creatura sono come un'immagine e il suo negativo, legati da molte somiglianze e per altri versi opposti.

Tornando alle tematiche legate al mito di Prometeo, la prima è appunto la creazione. Frankenstein non si prende alcuna cura dell'essere che ha generato. Come ho detto, la creatura è abbandonata a se stessa e Frankenstein è anzi felice di essersene sbarazzato. Ma non è forse vero che l'atto della creazione implica delle responsabilità? Senza toccare il lato affettivo o di contatto umano, non è prima di tutto dovere del creatore assicurarsi che un essere così grande e forte non possa nuocere all'umanità? Se davvero ha trovato la propria creazione così orribile, perché non gli ha subito tolto la vita, così come gliel'aveva data?
La creatura rinfaccia a Victor il proprio dolore, citando il "Paradise Lost" ("Paradiso Perduto") di Milton:

"Did I request thee, Maker, from my clay
To mould me Man, did I solicit thee
From darkness to promote me?"

("Ti chiesi io, Creatore, dall'argilla
di crearmi uomo, ti chiesi io
dall'oscurità di promuovermi?")

Mary Shelley pone quesiti pesanti, che risuonano in chi vive un'idea di genitorialità responsabile, scelta. C'è poi quel particolare dell'assumere in sé poteri che sono divini, come quello di infondere la vita, ma questo è un discorso molto più religioso che lascio volentieri perdere. Di certo è ὕβϱις, un atto contro natura, e come tale verrà punito dal fato.

Da qui è facile passare al tema delle conseguenze. Ovviamente tutto ciò che accade nella vita di Frankenstein è la conseguenza di quella scelta scellerata e dell'essersi rifiutato di assumersene le responsabilità. Ciononostante ci sono altri tipi di conseguenze negative presentate nel romanzo: quelle legate alla conoscenza.
Walton e Frankenstein hanno questo in comune: la volontà di scoprire qualcosa che il resto dell'umanità ignora, a qualunque costo, anche col rischio di morire e trascinare con sé le persone che di loro si fidano. La sete di conoscenza, quindi la scienza, il progresso, sono un'arma a doppio taglio, come il fuoco: possono dare sollievo, scaldare e cuocere, ma possono anche fare del male, bruciare e distruggere. Ci può essere un limite al conoscibile? La scienza si deve porre dei limiti etici, prima che pratici? Secondo Mary direi di sì. E' la creatura, ancora una volta, a regalarci un'amara considerazione sulla conoscenza.

"Of what a strange nature is knowledge! It clings to the mind when it has once seized on it, like a lichen on the rock. I wished sometimes to shake off all thought and feeling; but I learned that there was but one means to overcome the sensation of pain, and that was death - a state which I feared yet did not understand."

("Di che strana natura è la conoscenza! Si attacca alla mente, e una volta che ha preso il sopravvento è come un lichene su una roccia. Desideravo, a volte, scrollarmi di dosso tutti i pensieri e i sentimenti, ma imparai che c'era solo un mezzo per superare la sensazione di sofferenza, ed era la morte - uno stato che mi spaventava, anche se non lo comprendevo.")

Quante volte vorremmo non sapere! A me capita, ci sono situazioni in cui penso che sono felici coloro che non sanno, perché vivono sereni e non stanno male quanto chi, invece, ha coscienza, consapevolezza della verità. E' davvero sempre meglio sapere? Siamo sempre davvero in grado di gestirne le conseguenze? Non c'è risposta a questa domanda, non una giusta in modo universale, probabilmente, ma la Shelley ci lascia ad interrogarci (facendoci così soffrire!).

Ci sarebbe molto altro da dire su questo romanzo, che da solo ha fatto la storia dell'horror e ha posto anche le basi della fantascienza; tuttavia queste sono le riflessioni che mi sono rimaste più dentro. "Frankenstein" non è un romanzo perfetto, ha i suoi inceppamenti e lo stile si può percepire, al giorno d'oggi, un po' macchinoso, ma è un libro ancora attualissimo e vivo, che ha creato un immaginario intero attorno a sé e che lascia dentro tanti interrogativi su cui meditare. Quello che si definisce, del resto, un vero classico senza tempo.

mercoledì 23 agosto 2017

Edgar Allan Poe - Parte 3: i racconti di raziocinio

Chiamiamoli di raziocinio, di deduzione, o semplicemente gialli. Poco cambia: Edgar Allan Poe è a tutti gli effetti uno dei padri del giallo e, nonostante pochi lo sappiano, le sue storie hanno influenzato enormemente i grandi autori successivi, come ad esempio Arthur Conan Doyle (il papà di Sherlock Holmes, per intenderci). Anzi, nel commentare questi racconti trovo davvero difficile non fare riferimento a Sherlock Holmes, perché le similitudini e gli echi tra i racconti sono molteplici e molto forti.

I racconti di Poe considerati parte di questa categoria sono quattro: "The Gold-Bug" ("Lo scarabeo d'oro"), "The Murders in the Rue Morgue" ("I delitti della Rue Morgue"), "The Mystery of Marie Rogêt" ("Il mistero di Marie Rogêt") e "The Purloined Letter" ("La lettera rubata"). Di questi, gli ultimi tre vedono come protagonista uno dei detective più famosi della letteratura, Auguste Dupin.

[Beware! SPOILERS ahead!]

"The Gold-Bug" ("Lo scarabeo d'oro") è un racconto atipico, nel quale ancora riecheggia l'inquietante tema gotico della follia. Protagonista è come sempre il narratore, ma questa volte l'attenzione è tutta puntata su William Legrand, suo amico e bizzarro collezionista di insetti. 
Questi trova un giorno, nel corso di una passeggiata nella campagna circostante, uno strano scarabeo dorato. L'evento, sebbene inusuale, sembra non avere conseguenze particolari, se non che, in seguito a una serata di chiacchiere, Legrand pare divenire pensieroso, tormentato. Di lì a poco il suo comportamento, sempre più strano, mette in apprensione anche il servitore dell'uomo, che lo crede, così come il narratore d'altronde, pazzo. 
Ma non è così. Legrand ha scoperto per caso qualcosa di incredibile, che in qualche modo è legato proprio a quello strano insetto dorato, e ha intenzione di fare di tutto per provare di avere ragione.
Questa storia è meravigliosamente avvincente, sebbene la prima parte, quella della sospetta follia per intenderci, sia un po' pesantina. E' costruito, dicevo, in modo peculiare, perché abbiamo antefatto, conseguenze, azione e solo alla fine la spiegazione dell'intera vicenda. Legrand è un uomo di grande intelletto e capacità di deduzione; noi invece, così come il narratore, viviamo gli eventi da osservatori esterni e veniamo sballottati senza capirci niente per pagine e pagine, fino alla totale conclusione e analisi. 
Uno dei dettagli più innovativi e seducenti del racconto è l'introduzione geniale, da parte di Poe, di un misterioso messaggio cifrato.


Chiunque abbia letto "The Adventure of the Dancing Men" ("L'avventura degli omini danzanti"), uno dei racconti di Sherlock Holmes di Conan Doyle, riconoscerà il procedimento di decriptazione, spiegato con precisione e guidato passo passo. Io ho da sempre una piccola infatuazione per i messaggi in codice e per questo la storia mi è tanto più piaciuta.
Ci sono anche altri eco nel lavoro di Conan Doyle che si possono ricollegare a questo racconto, ad esempio "The Adventure of the Musgrave Ritual" ("Il cerimoniale dei Musgrave"), ma sarebbe solo una goccia nel mare delle opere in qualche modo ispirate a "The Gold-Bug". Citerò soltanto, per rendere l'idea della portata internazionale di Poe, il romanzo "Morbose fantasie" di Jun'ichirō Tanizaki (giapponese!), completamente basato su questo racconto e di cui ho già parlato qui.

Il trittico successivo, come precedentemente detto, è legato al personaggio del detective privato Auguste Dupin. Ma sarà poi giusto chiamarlo detective? Forse no, perché per Dupin la risoluzione dei crimini è quasi un passatempo, un hobby intellettuale, ma non abbiamo una parola migliore per descrivere qualcuno che si impegna a trovare il colpevole di crimini misteriosi.
Ok, lo dico ancora una volta: Auguste Dupin è Sherlock Holmes. Un proto-Sherlock Holmes. Sono talmente tante le caratteristiche che hanno in comune che si fa fatica a contarle: entrambi usano le proprie capacità di ragionamento e la propria intelligenza assolutamente al di fuori della media per risolvere casi all'apparenza irrisolvibili, entrambi sono personaggi piuttosto sociopatici, che passano la maggior parte della propria esistenza chiusi in casa in una sorta di torpore depressivo da cui vengono svegliati soltanto dall'eccitazione di un nuovo caso da risolvere, entrambi sono più interessati a svelare il mistero (e a dimostrare di aver ragione) piuttosto che ad assicurare i malfattori alla giustizia. Sono consultati dalla polizia nelle indagini più impervie e delicate (quindi Sherlock Holmes NON è il primo consulting detective della storia) e hanno una nemesi con cui si scontrano in un costante tentativo di battere l'altro in astuzia: Moriarty per Sherlock Holmes, il misterioso ministro D. per Dupin. Persino la modalità di narrazione è la stessa: in uno abbiamo il famoso Watson, in Poe il narratore è un amico intimo, l'unico, di Dupin, con cui convive e di cui esalta l'ingegno.
D'altronde l'ha ammesso anche Conan Doyle di aver preso non poco spunto dall'opera di Poe. Nella prima avventura di Sherlock Holmes, Watson lo paragona proprio a Dupin per complimentarsi con lui del suo intelletto acuto. Naturalmente il caro Sherlock ringrazia, ma afferma di essere pure meglio di lui, che in fondo era poca cosa...
Al di là dell'umiltà sherlockiana, tutta la sfilza di detective di genio venuti dall'Ottocento in poi devono, in parte, la propria esistenza a Poe. La strada segnata dal personaggio di Dupin è rimasta, da allora, il punto di riferimento di tutti i più grandi scrittori e con ogni probabilità continuerà a esserlo in futuro. Ciò che rende il tutto ancor più incredibile è che Poe, tutto questo, l'ha fatto con tre soli racconti...

"The Murders in the Rue Morgue" ("I delitti della Rue Morgue") è un classico giallo della camera chiusa. Due donne, una giovane e la madre, vengono brutalmente assassinate nella propria casa, in cui vivevano sole e in una sorta di reclusione dal mondo esterno. Quando i soccorsi arrivano, sentendole urlare, nell'aprire la porta non trovano nessuno. Le donne sono morte e apparentemente il colpevole è stato qualcuno dotato di una forza enorme, ma dell'assassino nella stanza non c'è traccia, né pare esserci  alcuna via di fuga. Dupin, però, intuisce subito che ciò che sembra impossibile a volte lo è solo in apparenza...
Questo racconto è geniale e davvero efficace nel tratteggiare il personaggio di Dupin. Purtroppo, negli anni, il mistero e la sorpresa nella risoluzione del caso si sono un po' persi, specie a causa di copertine come questa (che troneggiava sulla mia edizione):


Se mai l'incauto lettore non avesse già sentito parlare di questa storia, gli basterà dare un'occhiata all'immagine per farsene un'idea... E' davvero incredibile quanta poca accortezza ci sia, da questo punto di vista, nell'editoria.
Ciononostante questo rimane probabilmente il più bello dei tre racconti su Dupin e il più coinvolgente, almeno per me. Un capolavoro puro.

"The Purloined Letter" ("La lettera rubata") è il racconto in cui fa capolino il misterioso personaggio del ministro D.. Di lui il lettore non riesce a scoprire granché, se non che è un uomo dalle mille risorse e che conosce molto bene la società parigina in generale, che riveste un ruolo piuttosto importante anche dal punto di vista politico e che è un ricattatore. Il fatto che questo infido individuo non faccia parte, come in altre serie, della criminalità organizzata o non si nasconda nell'ombra, ma sia invece un uomo in vista e conosciuto mi ha completamente spiazzato e stupito. Poe non è mai banale, in questi racconti, e lo dimostra una volta di più nel creare la nemesi di Dupin. Non sappiamo molto di ciò che in passato è intercorso tra i due, che evidentemente si conoscono bene, ma dalle allusioni di quest'ultimo pare di intuire una serie di sgarri, di sfide, che spingono Dupin ad un cupo desiderio di vendetta. Come già si è visto la vendetta è un tema caro a Poe e si può arguire che lo scrittore non fosse del tutto contrario a una soluzione privata dei propri problemi...
Anche in questo caso i rimandi ad altri racconti successivi sono tanti (tanto per citarne alcuni "A Scandal in Bohemia", "The Adventure of the Second Stain" e "The Adventure of Charles Augustus Milverton", tutti e tre sherlockiani). Insomma, una lettera sottratta, un ricattatore, un'importante personalità pubblica che rischia di cadere in disgrazia... Ingredienti divenuti classici.

"The Mystery of Marie Rogêt" ("Il mistero di Marie Rogêt"), invece, è un racconto alquanto strano ed inquietante. Strano perché i protagonisti elucubrano a lungo sul delitto (una povera ragazza trovata morta in un fiume dopo un allontanamento forse volontario da casa) ma non pervengono ad alcuna conclusione, quindi si potrebbe dire un racconto incompiuto; inquietante perché la tragica vicenda di Marie Rogêt è stata ispirata da una storia di cronaca nera reale, avvenuta a New York nel 1841, un anno prima della pubblicazione del racconto. La vittima, una giovane di nome Mary Rogers, fu trovata morta e si sospettò subito un omicidio. La storia colpì molto l'opinione pubblica, poiché la ragazza era già nota per una precedente scomparsa di pochi giorni ed era piuttosto conosciuta in città. Ciò che Poe fa è qualcosa di completamente nuovo: prende tutti i dettagli riguardanti il caso, ogni singola testimonianza e articolo di giornale, e li riadatta, ambientando l'omicidio a Parigi e cambiando i nomi dei protagonisti. Dopodiché sguinzaglia Dupin e gli fa analizzare il caso, cercando di appurare quanto più possibile la verità.
La cosa curiosa è che nella ristampa, avvenuta alcuni anni più tardi, questo racconto è stato corredato dallo stesso Poe di numerose note: il ricordo del caso di cronaca, infatti, non era più molto nitido nella memoria e i lettori avrebbero potuto non cogliere i numerosi riferimenti e le citazioni. Grazie a dio ci ha lasciato tali note, così oggigiorno, dopo tanti anni, possiamo ancora seguire perfettamente tutto l'accaduto!
Come dicevo Poe non porta a termine l'indagine, vale a dire che non trova un colpevole. Fa alcune considerazioni, delle ipotesi, smonta alcune tesi dei quotidiani dell'epoca, ma non è in grado di puntare il dito su qualcuno in particolare. Questo è piuttosto frustrante, perché tutti noi ci aspettiamo, alla fine di un giallo, di scoprire chi è il colpevole. E' anche il più cervellotico dei racconti: i protagonisti non escono mai dal loro appartamento, ma l'intera indagine avviene tramite le pagine dei quotidiani, direttamente dalla poltrona del salotto. Insomma, è un racconto un po' statico. Ciononostante è anche il racconto in cui, più di ogni altro, si nota la mente geniale dell'autore. Poe doveva essere un'intelligenza superiore, fatto denotato già dalla complessità delle sue storie del terrore e del grottesco. Qui dà sfogo e sfoggio della sua cultura a 360°, delle sue capacità analitiche e logiche, insomma delle qualità superiori che rendono speciale Dupin. 

[End of SPOILERS!]

Se dovessi consigliare una serie di racconti da cui iniziare ad avvicinare Poe io non avrei dubbi, indirizzerei l'attenzione su questi. Non riuscirò mai a sottolineare abbastanza la grandezza di questo scrittore nel redigere queste storie, la grandezza di chi dà vita a un genere letterario nuovo, pur con le sue pecche (ma quale ciambella nasce col buco al primo colpo?). Nessuno dovrebbe poter dire di conoscere la letteratura mondiale senza aver letto queste opere.

 (E con questo si conclude la mia prima rassegna dell'opera di Poe. Per praticità qui trovate la prima parte e la seconda parte.)

domenica 20 agosto 2017

Edgar Allan Poe - Parte 2: le storie gotiche "di carattere"

Ok, non è proprio la dicitura giusta, ma l'ho presa in prestito dalla danza. La danza di carattere è quella parte del balletto classico di repertorio che vuole rappresentare le tradizioni musicali e coreografiche di un determinato Paese, creando quindi un balletto che ne rappresenti lo spirito. Da qui le varie danze russe, spagnole, arabe, ecc ecc. Non è detto che lo incarni realmente, ma ne incarna l'intenzione.
Nella seconda sezione del mio libricino di racconti scelti di Edgar Allan Poe, questi hanno in comune la caratteristica di avere una collocazione geografica ben precisa, specificata dall'autore. Fanno parte di questo gruppo "The Masque of the Red Death" ("La maschera della morte rossa"), "Hop-Frog", "The Pit and the Pendulum" ("Il pozzo e il pendolo") e "The Cask of Amontillado" ("Il barile di Amontillado").

Questi quattro racconti sono piuttosto famosi e non seguono un filo conduttore comune, sebbene in alcuni casi si ripresentino tematiche o dettagli comuni. Cercherò quindi di dire due parole su ciascuno, sempre nella più completa mancanza di analisi critica e letteraria in quanto tale.

[Beware! Spoilers ahead!]


"The “Red Death had long devastated the country. No pestilence had ever been so fatal, or so hideous. Blood was its Avator and its sealthe redness and the horror of blood. There were sharp pains, and sudden dizziness, and then profuse bleeding at the pores, with dissolution. The scarlet stains upon the body and especially upon the face of the victim, were the pest ban which shut him out from the aid and from the sympathy of his fellow-men. And the whole seizure, progress and termination of the disease, were the incidents of half an hour."



("Per lunga e lunga stagione la “Morte Rossa” aveva spopolato la contrada. A memoria duomo non sera mai veduto una peste così orribile, così fatale! A guisa del Vampiro, sua cura e delizia, il sangue, la rossezza e il lividore del sangue. Neglinfelici coltine si manifestava dapprima con dolori acuti, con improvvise vertigini; e dappoi un sudare e trasudar copioso, donde lo sfinire è il dissolversi infine di tutto lessere. E chiazze porporine su la pelle, soprattutto sul volto delle vittime, facean sì che queste fossero schifate e fuggite da tutti, nè soccorso o alcun segno di simpatia le consolasse. Invasione, progresso ed effetti del male erano una cosa stessa, laffare dun momento.")


"The Masque of the Red Death" ("La maschera della morte rossa") è sempre stato uno dei miei racconti preferiti in assoluto. Ha un ritmo incalzante, descrizioni capaci di proiettare nella nostra mente immagini nitide e spettacolari, che colpiscono non solo la vista, con i loro vividissimi colori, ma anche gli altri sensi, in particolare l'udito. E poi c'è la peste, che dona sempre un tocco macabro e angosciante alla narrazione.
Poe ambienta la storia nel nord Italia, in un tempo imprecisato che potrebbe essere il XIV secolo tanto quanto il XVII, sebbene io propenda per la prima opzione. La ragione è semplice: questo racconto racchiude tutti gli elementi classici del gotico, dall'ambientazione medievale al castello. Anche la scelta di nazioni latine non era casuale: Italia e Spagna in particolare, per la loro posizione, le loro tradizioni e superstizioni e la religione Cattolica, erano considerati Paesi esotici, ricchi di mistero e magia, un po' come l'Estremo Oriente per gli europei di oggi. In quest'area non meglio precisata dell'Italia imperversa un'epidemia, un male orribile che porta ad una morte straziante e cruenta. Per salvarsi e salvare gli altri nobili dalla malattia, il principe Prospero invita mille persone nel proprio palazzo, dove attenderanno che l'emergenza finisca. In questa situazione da Decamerone, Prospero indice uno sfarzoso ballo in maschera, ma nel corso della serata qualcosa di inaspettato si farà strada tra gli invitati...
Al di là delle considerazioni letterarie, dal mio punto di vista questo racconto è un inno alla caducità della vita e all'impossibilità da parte dell'uomo di evitare il fato/la morte. Se ci pensiamo, l'umanità negli anni si è mossa ed evoluta sempre più in questa direzione: eliminare le possibili cause di morte, minimizzare i rischi, rendere la nostra vita sicura, prevedibile, certa. E' proprio per questo che soffriamo tanto l'angoscia dell'imprevisto, dell'incidente fatale. Fino a pochi anni fa l'abitudine alla morte rendeva gli uomini più fatalisti, più abbandonati al destino, a ciò che veniva chiamato il "volere di Dio". L'uomo moderno si distingue proprio per questa sua ribellione al fato, per il suo desiderio di autodeterminarsi. Ebbene, Poe ha una visione decisamente negativa in merito. Saranno stati i lutti a renderlo tale? Non lo sapremo mai, ma la frase finale del racconto non lascia scampo:

"And Darkness and Decay and the Red Death held illimitable dominion over all."


("E le Tenebre, la Rovina e la Morte Rossa stabilirono sopra tutte le cose il loro illimitato impero.")

"The Pit and the Pendulum" ("Il pozzo e il pendolo") è probabilmente altrettanto famoso, anche se mi ha appassionato un po' meno. E' una storia più avventurosa e per certi versi drammatica, imperniata inoltre (ancora una volta) sull'incognita di ciò che ci aspetta.
Ci troviamo stavolta in Spagna durante le guerre napoleoniche. Un ufficiale francese, imprigionato dalla Santa Inquisizione spagnola, è sottoposto a una serie peculiare e assai fantasiosa di torture psicologiche che mirano in ogni caso alla sua eliminazione fisica. In questo scritto Poe mette in campo una serie di meccanismi e congegni che sono nel tempo passati nell'immaginazione popolare: film d'azione come "I Goonies", "Indiana Jones" e anche thriller come "Il collezionista d'ossa" devono qualcosa a questo racconto. La tensione nella storia è palpabile e l'utilizzo del buio in particolare fa molto presa su un'angoscia (quella dell'oscurità, appunto) che non ha mai lasciato del tutto l'essere umano. Forse ciò che rende, a mio personalissimo gusto, questa storia un po' meno entusiasmante è proprio lo sfruttamento che i sopracitati meccanismi hanno avuto nella letteratura e cinematografia seguente: alcune strategie le possiamo anticipare, il colpo di scena perde un po' di impatto. Certo è che la Santa Inquisizione, secondo Poe, doveva avere una mente ben perversa...e probabilmente aveva ragione.

"Hop-Frog" e "The cask of Amontillado" ("Il barile di Amontillado") hanno molto in comune, da un certo punto di vista. Prima di tutto perché sono entrambi racconti di vendetta. Il primo ambientato in Francia, il secondo di nuovo in Italia, in particolare a Roma, narrano vicende assai diverse ma che tendono sempre alla rappresentazione di un cupo e assassino desiderio di rivalsa.

Nel primo caso protagonista è un deforme giullare di corte. Chi ha un po' di familiarità con l'opera lirica penserà subito al Rigoletto, perché anche Hop-Frog è un gobbo; tuttavia quest'ultimo viene descritto fin da subito come un essere quasi scimmiesco. Dall'incredibile agilità, la bassa statura, l'origine misteriosa, il lettore si fa l'idea di un personaggio che poco ha di umano. Non ci sorprende quindi l'atto totalmente crudele e disumano che conclude la narrazione. Ad ogni modo ciò che colpisce il lettore nel corso di tutta la vicenda è la mostruosità degli uomini di potere protagonisti di questa storia, che abusano di Hop-Frog e della sua compagna Trippetta in continuazione, dando sfoggio ad una ignoranza, di una stupidità e ad una bruttura che, da un certo punto di vista, fa pendere la bilancia della compassione dalla parte del giullare nonostante tutto.

Il secondo invece è un vero e proprio omicidio, orchestrato con la minuzia tipica di una vera mente criminale. "The cask of Amontillado" potrebbe essere il racconto-simbolo del detto "La vendetta è un piatto che va servito freddo". Protagonisti sono due gentiluomini, che in passato hanno avuto qualche traversia, qualche scontro di cui il lettore non sa nulla di più. Ciò che pare certo è che, almeno per Fortunato, questi bisticci non sono stati altro che sciocchezze, mentre per Montresor, l'io narrante della vicenda, gli screzi e gli insulti sono andati sommandosi fino a raggiungere il culmine. E in perfetta tradizione italiana l'onta va lavata col sangue.
Poe utilizza in questo racconto uno dei suoi temi preferiti, quello del seppellito vivo, ma a differenza di altre storie, in cui questo si ritorce contro il protagonista, qui Montresor ha totale soddisfazione.
In generale, l'impressione più forte che ho avuto da questi due racconti è di un certo godimento, da parte di Poe, nel far compiere una terribile vendetta ai propri personaggi. Non c'è morale alcuna, non c'è accusa: forse lo scrittore non era poi così contrario all'idea della giustizia fai-da-te...

[End of SPOILERS!]

E con questo si passa, con grande godimento, ai quattro celeberrimi racconti del raziocinio...

martedì 1 agosto 2017

Edgar Allan Poe - Parte 1: le storie gotiche "femminili"

34 rackham poe ligeia
Negli ultimi tempi, a causa di un paio di recenti letture, ho ripreso in mano due libricini che comprai anni fa, contenenti una selezione tra i racconti più famosi e meglio riusciti dello scrittore americano Edgar Allan Poe. Questo nome, anche nei meno avvezzi alla letteratura dark, rievoca toni di mistero, horror e soprannaturale; per me che amo il genere rappresenta un caposaldo, un mito. Tuttavia non bisognerebbe dimenticare che Poe è stato il padre di una serie di filoni letterari e che le sue storie hanno avuto un impatto internazionale inimmaginabile su tutta la letteratura successiva. Purtroppo, proprio per il suo essere di genere, il povero Poe è rilegato nelle letture per ragazzi dal gusto macabro e ignorato dai libri di scuola.
Invece, pensate un po', a furia di rileggerlo mi è venuta voglia di inserirlo nel programma scolastico per l'anno prossimo.

Poe pubblicò i propri racconti in modo piuttosto sparso, su svariati giornali e riviste, e la maggior parte furono raccolti ed etichettati in edizioni postume. Io ne ho acquistate diverse versioni, sia in italiano sia in lingua originale, ma quella che ho tra le mani al momento ha scelto di associare i racconti per affinità di caratteristiche, in maniera piuttosto curiosa.
Come dicevo, rileggendoli li ho un po' riscoperti. Sono una di quelle persone che ricorda a lungo l'emozione di un libro, la sensazione provata nel leggerlo, magari alcune scene particolarmente toccanti o scioccanti, ma della trama non rimane con gli anni che un abbozzo sfocato. Per questo mi piace rileggere, perché ogni volta è una riscoperta dei dettagli, delle sfumature, ma anche dei personaggi e dello stile dell'autore.
Dunque, tutta presa dal sacro furore della lettura ispirata, non posso esimermi dall'esprimere due considerazioni spicciole e affatto letterarie sui racconti contenuti nelle raccolte in questione.

Il primo filone selezionato è quello dei racconti gotici femminili, se così possiamo definirli: storie che vedono come protagoniste giovani donne che tendono a perire assai anzitempo.
Nella collezione ce ne sono sei: The Oval Portrait (Il Ritratto Ovale), Ligeia, Eleonora, Morella, Berenice, The Fall of the House of Usher (La Caduta della Casa degli Usher).
Personalmente, i miei preferiti sono stati i primi due e "Berenice", mentre ho sempre fatto fatica a capire l'incredibile fortuna dell'ultimo citato, nonostante ne comprenda il valore tecnico e la ricchezza stilistica.

In tutti questi racconti viene trattato il tema della morte. Per chi non lo sapesse, si suppone che la fissazione di Poe nel descrivere la morte di giovani donne fosse dovuta alla sua infanzia sfortunata (Poe fu adottato in tenera età) ma soprattutto alla morte della giovanissima moglie Virginia, che era anche sua cugina e con la quale si era sposato quando lei aveva all'incirca 14 anni. Rimane però il fatto che questi racconti in particolare siano stati pubblicati prima della dipartita della moglie, persino prima che si ammalasse; quindi forse Poe utilizzava queste fantasie per esorcizzare un po' la paura di poter perdere la giovane amata, dando voce a quell'angoscia di abbandono che sicuramente si portava dentro dalle traversie familiari.
In tutti questi racconti vi sono poi caratteri fortemente romantici. Potremmo dire che questa è la parte più romantica della produzione di Poe. Quando dico romantico non intendo sentimentale, ma appartenente al Romanticismo, che in America trova in Poe uno dei suoi maggiori esponenti, sebbene si collochi tra gli anni '30 e '40 dell'800 (vale a dire un po' tardino...). Sono molti i dettagli tipicamente romantici: prima di tutto l'ambientazione cupa e inquietante, portata in auge dal romanzo gotico nato a metà 1700 e diventato uno dei generi più venduti della letteratura di primo Ottocento; inoltre il rapporto di empatia tra il protagonista e la natura, che ne riflette gli stati d'animo, l'esaltazione delle emozioni e delle sensazioni, anche delle più torbide e disturbanti, il gusto esotico e il sincretismo di gotico e orientale nell'architettura e nell'arredamento, nonché l'intervento di fenomeni paranormali e soprannaturali.

[Beware! SPOILERS ahead!]


"Man doth not yield him to the angels, nor unto death utterly, save only through the weakness of his feeble will."


("L'uomo non si arrende agli angeli né si fa vincere dalla morte se non per la debolezza della sua misera volontà.")

"Ligeia" è forse uno dei racconti più famosi, in questo senso, ed è sempre riportato nelle antologie come uno dei più chiari esempi dello stile di Poe. Ci sono tutti gli ingredienti sopra citati, o quasi: una giovane (?) donna amata, il palazzo gotico dagli arredamenti inquietanti, la morte, il soprannaturale. In questo racconto Poe affronta il tema della metempsicosi e della reincarnazione. Dal mio punto di vista è un racconto sorprendente perché, nel suo essere lugubre e a tratti terrificante, Ligeia è un inno all'amore che non muore, alla forza che spinge un'anima a sconfiggere la morte per ritornare al mondo.
Imperdibili, in questo racconto, le descrizioni degli interni del palazzo in cui il protagonista vive. Poe ha un gusto e una precisione per i dettagli che incanta e lascia sbalorditi. Probabilmente non piacerà a chi non ama questo tipo di narrazione, così ricca di particolari, ma è un dato di fatto che l'autore è capace di far visualizzare ogni centimetro della camera da letto matrimoniale, dalle finestre ai tessuti che adornano il letto.

"The undue, earnest, and morbid attention thus excited by objects in their own nature frivolous, must not be confounded in character with that ruminating propensity common to all mankind, and more especially indulged in by persons of ardent imagination. It was not even, as might be at first supposed, an extreme condition, or exaggeration of such propensity, but primarily and essentially distinct and different. In the one instance, the dreamer, or enthusiast, being interested by an object usually not frivolous, imperceptibly loses sight of this object in a wilderness of deductions and suggestions issuing therefrom, until, at the conclusion of a day dream often replete with luxury, he finds the incitamentum, or first cause of his musings, entirely vanished and forgotten. In my case, the primary object was invariably frivolous, although assuming, through the medium of my distempered vision, a refracted and unreal importance. Few deductions, if any, were made; and those few pertinaciously returning in upon the original object as a centre. The meditations were never pleasurable; and, at the termination of the reverie, the first cause, so far from being out of sight, had attained that supernaturally exaggerated interest which was the prevailing feature of the disease. In a word, the powers of mind more particularly exercised were, with me, as I have said before, the attentive, and are, with the day-dreamer, the speculative." 

("L'attenzione eccessiva, continua, morbosa, così suscitata da oggetti frivoli per loro natura, non deve essere confusa con l'inclinazione a rimuginare, comune a tutta l'umanità, e nella quale si compiacciono soprattutto le persone di immaginazione ardente. Non era neppure, come si potrebbe a tutta prima supporre, una condizione estrema, o una esagerazione di tale inclinazione, ma primariamente ed essenzialmente distinta e diversa. Nel primo caso il sognatore o entusiasta sentendosi attratto da un oggetto solitamente non frivolo perde a poco a poco di vista questo oggetto in un pelago di deduzioni e di ipotesi da esso oggetto scaturite, sino a che al termine di un sogno a occhi aperti spesso impregnato di esuberanza si accorge che l'incitamentum o causa prima del suo fantasticare è del tutto svanito e dimenticato. Nel caso mio l'oggetto primario era invariabilmente frivolo, pur assumendo, attraverso il mezzo della mia fantasia malata, un'importanza irreale e rifratta. Scarse erano sempre le mie deduzioni, e queste poche ostinatamente ritornavano sempre all'oggetto originale come fulcro.
Queste mie meditazioni non erano mai piacevoli, e al termine della visione la causa prima, lungi dall'essere stata perduta di vista, aveva raggiunto quell'interesse preternaturalmente eccessivo che costituiva il carattere prevalente della malattia. In una parola i poteri della mente da me più particolarmente esercitati ed acuiti erano, come già ho detto, quegli attenti, mentre nel sognatore ad occhi aperti si esaltano soprattutto i poteri speculativi.")

Anche "Berenice" tratta di una forma d'amore, a suo modo... Lo scrittore qui abbandona il soprannaturale per immergersi nell'orrore della mente umana, delle psicosi che la possono affliggere, e ce ne presenta una in particolare: la monomania.
Le descrizioni di Poe in merito agli stati d'animo e mentali sono complesse, spesso contorte, per nulla di facile comprensione, perché quest'uomo era di una cultura immensa; tuttavia sono intrise di una poesia e di una musicalità avvolgenti. Mi spiace per chi non parla molto bene l'inglese e quindi non potrà apprezzarne l'eloquio in lingua originale.
[Nota fastidiosa della prof: ci sono persone che sostengono Poe sia una letturina facile, consigliabile agli studenti delle superiori come uno dei primi scrittori da affrontare in lingua originale. Ecco, magari no. Posso dare una dozzina di altri nomi, ma il buon senso direbbe non Edgar Allan Poe.]
Tornando a "Berenice", questo racconto si focalizza proprio sulla descrizione dei sintomi di questa monomania, di questa fissità di pensiero patologica e che può rivelarsi pericolosa. Dall'altra parte c'è appunto Berenice, l'amata cugina, bellissima e tragicamente malata. Con questo racconto veniamo introdotti anche a un'altra delle fissazioni di Poe, che torna ogni tanto a  far capolino tra le pagine: la morte apparente, o meglio qualsiasi disturbo che causi nel malato stati comatosi facilmente confondibili, all'inizio dell'800, con uno stato di morte. 
Non dico altro, ma mi è rimasta impressa nella mente fin dalla prima lettura l'angoscia della progressiva realizzazione dell'orrore, che culmina sul finale con l'apertura del cofanetto...

"She was a maiden of rarest beauty, and not more lovely than full of glee. And evil was the hour when she saw, and loved, and wedded the painter. He, passionate, studious, austere, and having already a bride in his Art; she a maiden of rarest beauty, and not more lovely than full of glee; all light and smiles, and frolicsome as the young fawn; loving and cherishing all things; hating only the Art which was her rival; dreading only the pallet and brushes and other untoward instruments which deprived her of the countenance of her lover. It was thus a terrible thing for this lady to hear the painter speak of his desire to portray even his young bride." 

("Era una fanciulla di rara bellezza, e non meno gioconda che leggiadra. E malaugurata fu lora in cui vide, amò e sposò il pittore. Lui, appassionato, studioso, austero, già aveva una sposa nella sua Arte; lei, fanciulla di rarissima bellezza, era di una giocondità pari alla sua leggiadrìa: tutta luce e sorrisi, e scherzosa come una cerbiatta: piena damore e di cura per tutte le cose, odiava soltanto lArte come sua rivale: temendo solo tavolozza e pennelli e altri ostici arnesi che le toglievano la presenza del suo amato. Fu quindi terribile per questa signora sentir parlare il pittore del suo desiderio di ritrarre anche la propria giovane moglie.")

"The oval portrait" ("Il ritratto ovale") è il terzo racconto su cui vorrei porre la mia attenzione. E' una storiella molto molto breve e sicuramente più snella rispetto alle precedenti anche per complessità emotiva e psicologica. Ciononostante trovo importante darle rilievo per la tematica principale: il potere soprannaturale dell'Arte. Protagonisti di questa storia nella storia, perché il narratore fa un po' da cornice al racconto vero e proprio, sono un pittore e la sua giovane, bellissima e devota sposa.
Chiunque abbia letto "Il ritratto ovale" DEVE aver notato la risonanza con un'altra grande opera di qualche anno posteriore... Sto parlando, naturalmente, di "Il ritratto di Dorian Gray". C'è un filo rosso che collega palesemente queste due opere, perché entrambe elaborano lo stesso concetto: la capacità di un ritratto di assorbire l'anima stessa di una persona. Qui la tematica è sviluppata in modo molto ridotto e semplice, mentre Wilde ne farà un romanzo assai più complesso, ma il fondamento è lo stesso. Visto che Wilde, che aveva anche viaggiato in America, non poteva non conoscere e aver letto Poe, ritengo piuttosto probabile che questa storia sia stata in parte fonte d'ispirazione per il grande scrittore irlandese.

[End of SPOILERS!]

Questo ciò che mi rimane dei primi cinque racconti della raccolta. 
Anzi no. Ancora una cosina, una chicca in cui sono inciampata preparando la lezione per i miei allievi.
Ci sono attori che hanno saputo dare voce alla letteratura in modo superbo, a volte proprio perché ne incarnavano anche il carattere. Uno di questi è Christopher Lee, compianto interprete di tanti cattivissimi del cinema ma anche doppiatore e lettore di audiobook. Qualche anno fa il buon Christopher prestò la propria voce ad alcune grandi opere di Poe, tra cui uno dei racconti citati sopra: "The Fall of the House of Usher". Utilizzando proprio questa sua registrazione, è stato creato un corto di animazione che si può vedere su Youtube. Non so se ne esista la versione in italiano, io ho trovato quella in inglese, che è l'unica che conta visto che si parla della voce di Christopher Lee!


Certo, questa realizzazione toglie un po' il sapore di mistero dal racconto, che molto lascia anche all'immaginazione e all'ambiguità: Usher e il narratore saranno preda di allucinazioni oppure no? C'è un'entità paranormale al lavoro? Ancora una volta ci troviamo di fronte ad una morte apparente?
Ciononostante il risultato secondo me merita davvero e mi ha reso forse più fruibile un racconto che mi ha sempre lasciata un po' indifferente.