domenica 31 dicembre 2017

Il giro del mondo letterario: sintesi del 2017

Quest'anno il giro letterario si è un po' arenato nel corso degli ultimi mesi. Probabilmente a causa anche della Reading Challenge, ma soprattutto del mio poco impegno nella lettura, ho iniziato l'anno con sprint, leggendo tanti Paesi nuovi, ma poi la corsa ha subito una brusca frenata.
Ciononostante la mappa del mondo si è colorata parecchio, perché ho toccato le coste della Cina e del Canada che di chilometri quadrati ne occupano parecchi.
In totale ho visitato, solo nel 2017, 22 nazioni del mondo. Non male, comunque...

Ciò che mi rende felice è che ho acquistato molti libri dal mondo negli ultimi mesi, che mi serviranno nel 2018. Mi sono concentrata soprattutto sull'Africa, perché gli Stati sono tanti ma gli autori recuperabili in italiano o almeno in inglese sono pochi, soprattutto da alcune aree. Le traduzioni languono...
Mi preoccupa ora soprattutto l'Oceania, di cui ho letto i Paesi più grandi e ora non so come recuperare libri dalle isolette del Pacifico. Se qualcuno volesse darmi una mano... Suvvia, ci sarà un volontario disposto ad andare a Tahiti o a Kiribati per comprarmi un libretto locale!
Ovviamente si accettano sempre consigli!

Ecco quindi la mia cartina del 2017:


A che punto sono del giro del mondo?
Questa è la cartina riassuntiva dei due anni appena passati:


Reading Challenge 2018

Come detto nel post precedente, quest'anno la Reading Challenge me la sono fatta in casa, quindi è una sfida più...domestica, anche se sono ben contenta se qualcuno sceglierà di farla propria.
E' stata pensata per essere utile oltre che dilettevole e stimolante. Utile per chi? Ma per me, naturalmente, nel senso che comprende anche dei prompt che mi aiuteranno (si spera) nel lavoro e per il giro del mondo.

Dunque, quali sono i prompt di quest'anno? Eccoli qui:

Un libro di Dickens
Un libro pubblicato nel 2018

Un saggio
Un Horror
Un Giallo
Una distopia

Un libro con più di 500 pagine
Un libro con più di 800 pagine
Un libro scelto per te

Un libro africano
Un libro giapponese
Un libro di tematica gay

Un libro di autore anonimo
Una serie
Due libri consonanti
Un libro di tematica femminista

Un libro che pensi di odiare

Un libro scritto prima della nascita di Cristo

Un Premio Pulitzer
Un libro prestato

Un libro regalato

Un libro di racconti
Un libro che avresti dovuto leggere

Un libro da cui è stato tratto un film
Un libro di poesia

Un libro condiviso

Un libro che hai abbandonato
Un libro presente nella lista del Guardian
Un Premio Nobel
Un Premio Strega

Spero di riuscire a fare meglio del 2017. Alla fine ne ho lasciati 6 completamente in bianco. Questa volta vorrei arrivare almeno a 28 su 30. Ovvio, 30 su 30 sarebbe il massimo...
Quindi bando alle ciance, che c'è ancora da finire la sfida del 2017 e poi si legge!

Reading Challenge 2017: com'è andata?

La mia prima Reading Challenge (fatta in casa o quasi) si è conclusa con il 31 dicembre 2017. E' stata un parziale successo: completata per due terzi, sono riuscita a leggere molte categorie, alcune le ho iniziate ma non finite, altre non sono proprio riuscita a toccarle. Peccato, perché se non avessi avuto la crisi di lettura del mese di Novembre (che si è protratta poi anche nel mese di Dicembre...) ce l'avrei fatta senza problemi.
Ciononostante sono contenta perché mi ha spinto a cercare qualche testo inusuale o temuto e ho letto libri che in fondo aspettavano da un po' il loro turno. Mi hanno aiutata anche un paio di audiolibri, new entry del 2017, che mi sono tanto di compagnia in auto e si rivelano anche pratici nel recuperare ore di lettura...

Quindi questa tabella? Eccola qui:

Un libro che ti è stato regalato/prestato
Un libro consigliato da un/a collega
Sarah Waters - Fingersmith
Un libro il cui titolo è una sola parola (più eventualmente articolo)
Un libro fantasy/con elementi di magia
Un libro di un autore che questanno compierebbe almeno 200 anni
Un libro di cui hai visto il film ma che non hai ancora letto
Un fumetto pubblicato prima della tua nascita
Superman
Un libro che puoi leggere in un weekend
Un libro la cui protagonista ha il tuo stesso nome
Un libro di un autore che ha vinto il premio Nobel
Un libro che non è stato pubblicato nel tuo Paese di residenza
Un libro uscito nellanno in cui sei nata
Un libro che ha avuto un adattamento televisivo/cinematografico
Un classico che ancora ti manca
Un testo teatrale
Aristofane - Lisistrata
Una serie di manga che non hai ancora letto
Un libro riguardante miti/leggende
Yei Theodora Ozaki Japanese Fairy Tales
Un giallo/thriller
Un libro per bambini/ragazzi
Un libro che ha la fama di essere impossibile da mettere giù
Il libro preferito di un amico
Ursula Le Guin The Left hand of Darkness
Un libro che eri impaziente di comprare/prendere in prestito ma che poi non hai letto
Un libro legato a qualche fatto di attualità
Un libro che hai letto molto tempo fa e non avevi apprezzato
Un libro con un titolo o una copertina brutto/a
Un libro di un autore emergente
Un libro che hai sempre evitato
Un libro con un protagonista in cui pensi di rispecchiarti o che sia diametralmente opposto a te
Un libro con unambientazione inusuale
Un libro non fiction

I libri in rosso sono stati iniziati ma non finiti, quindi verranno poi spuntati nel corso del mese di gennaio (spero). I campi evidenziati...sono quelli in cui ho fallito. Sigh.
Mancano un paio di link, ancora, perché la pigrizia letteraria si è impadronita anche del blog, nell'ultimo periodo, e sono rimasta un pochino indietro con i post. Recupererò e integrerò.

Ringrazio tanto la mia ex collega Miriam, che ha condiviso con me questa bellissima iniziativa privata, anche se non leggerà mai questo post. Mi ha regalato una nuova sfida e per questo nuovo anno abbiamo già provveduto a stilarcene una nuova fatta su misura...

77. Matt Simon - La vespa che fece il lavaggio del cervello al bruco

Io leggo pochi saggi. Non so perché. Sarà che li trovo un po' lenti, nel senso che anche quando mi interessa molto l'argomento le pagine scorrono molto meno velocemente di un romanzo. Inoltre c'è il fatto che io, dalla letteratura, chiedo spesso storie, vite, emozioni, la descrizione dell'animo umano, e raramente leggo per istruirmi su argomenti nuovi.
La biologia peculiare però mi ha sempre appassionato, divertito e attratto. Potevo quindi esimermi dal leggere il libro di Matt Simon "La vespa che fece il lavaggio del cervello al bruco"? Non diciamo sciocchezze, con un titolo così...

"Le vespe parassite che iniettano i propri piccoli nei bruchi rappresentarono per Charles Darwin un dilemma profondo: 'Non posso persuadermi che un Dio benefico e onnipotente avrebbe creato intenzionalmente gli icneumonidi con la precisa intenzione che si nutrissero del corpo vivente di bruchi, o che avrebbe deciso che un gatto dovesse giocherellare con i topi', scrisse una volta in una lettera a Asa Gray."

Di questa storia del bruco e della vespa avevo già sentito parlare da un altro divulgatore scientifico molto divertente, Ed Yong, che si può ascoltare nella sua presentazione per Ted2014 qui.
Matt Simon, però, è una fonte di continue sorprese, perché di animaletti dalle capacità strane (e spesso mortali, anche se non sempre per l'uomo) ce n'è un sacco sul pianeta e lui ha fatto dello scovarli e raccontarli la propria professione.

"La vespa Glyptapanteles inietta le proprie uova in un bruco, così dopo la schiusa le larve possono mangiare parte della vittima, uscire fuori dal suo corpo e controllare la mente del poveretto (in qualche modo ancora vivo) perché le protegga dai predatori. Per procurarsi un pasto, la femmina del ragno bolas produce feromoni che imitano il profumo delle femmine di falena e attira così il maschio in una ragnatela simile a un lazo vischioso."

Così la quarta di copertina recita presentandoci questo libro e devo dire che questi sono soltanto due esempi da nulla. La collezione di stranezze è davvero grande.
Simon ha dato un ordine a quest'allegra banda di creature all'insegna dell'incredibile raggruppandoli per tipologia di peculiarità. Troviamo così gli accoppiatori folli (tra cui l'antechino è forse il mio preferito), coloro che appioppano le proprie uova/larve/cuccioli ad altre specie o che le nascondono in posti strani, creature che vivono scroccando all'interno di altri esseri viventi o che formano colonie inaspettate (il galiotto e il suo sodalizio col cetriolo di mare saranno per sempre nel mio cuore), bestiole in grado di sopravvivere in condizioni estreme (l'orsetto d'acqua è, tipo, il mio preferito tra tutti, ma anche l'armadillo rosa è di una pucciosità estrema), animali dotati di incredibili sistemi di difesa (come la mucosissima missina) o in grado di mangiare qualsiasi cosa e infine coloro i quali hanno inventato modi terribilmente astuti per catturare le proprie prede. Insomma, una vera carrellata di fenomeni della natura e dell'evoluzione, raccontati in modo semplice e ironico.

Questa è forse un po' la forza e una delle debolezze di questo libro. E' un tipico saggio di divulgazione scientifica e porrei il target nell'età adolescenziale/giovani ventenni: i capitoli sono brevissimi, i racconti dettagliati e truculenti come piace ai ragazzi e c'è un certo piacere sublime per il particolare schifoso che non può non fare breccia. Ad alcuni dei miei allievi di quinta ho letto un paio di capitoli ed erano in brodo di giuggiole... D'altro canto, questo libro si adatta meno alle persone un po' più mature o con una buona cultura scientifica, che lo troveranno forse un po' scarno nei dettagli tecnici e che conosceranno già molte delle particolarità raccontate (anche se non credo tutte tutte). Il marito di Tenar, che me l'ha prestato, ne è rimasto un po' deluso, ad esempio, ma temo di aver capito che lui era proprio il target a cui questo libro non si rivolge.

Ma chi potrebbe resistere all'armadillo rosa?

Simon, peraltro, ha anche il pregio di narrare stralci di vita di alcuni tra i più avventurosi ed importanti (ma ahimè dimenticati) esploratori e biologi della storia, come Maria Sibylla Merian, una vera avventuriera che precorse i tempi, spingendosi nella giungla del Suriname a caccia di insetti dopo aver lasciato il marito: era il 1699 ed è un peccato che una pioniera delle ricerche naturalistiche sia più o meno scomparsa dai libri.

Cosa non mi è piaciuto invece di questo saggio?
Principalmente credo il linguaggio utilizzato, colpa anche di una traduzione non meravigliosa. Simon scrive in uno stile da blog tipicamente anglosassone. Chi frequenta questo genere di pagine e legge in inglese saprà di cosa sto parlando: si tratta di una vera e propria sottolingua, uno slang stilistico più che lessicale, che ha delle tempistiche e un'ironia tutta sua. Purtroppo a mio avviso questo stesso stile non decolla sulla carta, anzi suona un po' troppo giovane; in più questo genere di linguaggio non è utilizzato nei blog in lingua italiana, per cui la traduzione (estremamente letterale, che non sempre è un bene...) risulta estremamente pesante, involuta. Va da sé che lo scritto perde gran parte della freschezza e dell'umorismo dell'autore. Un vero peccato, un difetto che sicuramente poteva essere risolto con una buona traduzione illuminata e un servizio di editing decente. Ahimè, stavolta è proprio colpa nostra e non dell'originale.

Non posso dare un giudizio definitivo negativo per questo libro, né posso dire che mi abbia entusiasmata. E' simpatico, curioso e facile da leggere anche a spizzichi e bocconi; probabilmente è un ottimo libro da bagno, un po' meno da lettura continuativa e concentrata. Consigliatissimo agli adolescenti, meno a chi queste cose le indaga da un po'. Una buona opera di divulgazione che meriterebbe, in futuro, un editing e una cura maggiori.

mercoledì 20 dicembre 2017

76. Gabriele D'Annunzio - L'innocente

Ci sono autori classici che piacciono e altri che proprio non digeriamo. Ognuno ha le proprie preferenze ed è anche il bello di essere umani, questa diversità. Questo per dire che so quanto sia un grande scrittore italiano Gabriele D'Annunzio; ciononostante io con lui ho qualche problema. Sarà l'influsso del fastidio per il personaggio storico D'Annunzio, o per la sua vita privata; sarà il suo modo di scrivere spesso tortuoso e barocco, pienamente decadente, che non è nelle mie corde. Non so di preciso cosa non mi convinca, ma qualcosa c'è. Probabilmente un mix dei suddetti.
Il mio primo incontro con D'Annunzio fu negli anni della scuola, con "Il Piacere": piena di buona volontà, ne lessi 50 pagine e poi lo abbandonai, morta di noia. Si sa come sono gli adolescenti, io non facevo eccezione...
Però ricordo ancora, come un'eco lontana e a malapena distinguibile, la lezione che la mia professoressa d'italiano tenne sul romanzo "L'innocente". C'era un brano tratto da questo romanzo sulla nostra antologia e la gentilissima donna, sapendo quanto odiassi leggere ad alta voce, mi chiese di farlo. Sarà stato questo o il nome del bambino protagonista, Raimondo, a restarmi impresso? O forse la crudeltà del gesto di cui D'Annunzio scrive in questo libro, un infanticidio appunto? Comunque sia ho riconosciuto nel libro usato che ho salvato dal cassonetto qualche tempo fa un segno del destino e ho voluto con esso dare una seconda chance a questo autore. Risultato: non sarà mai il mio preferito e non ne serbo un ricordo imperituro, ma non mi è dispiaciuto, letto a quest'età.

"L'innocente" è presentato come una lunga confessione, lo sfogo in prima persona di un uomo che, a un anno di distanza dal fattaccio, ancora non trova pace e che tuttavia non riesce a riconoscersi pentito. Scritto tutto in prima persona, con il passo quasi di un diario di memorie, il protagonista è Tullio Hermil, ricco proprietario terriero dal temperamento irrequieto e col vizietto delle donne, tipico uomo dannunziano insomma. E' sposato da sette anni con la bella Giuliana, da cui ha avuto due figlie, ma nonostante sostenga di amarla teneramente e nonostante lei paia essergli devota in maniera quasi masochista, lui non riesce a fare a meno di cercare altrove ardore e intimità, inanellando una sfilza di amanti a cui è focosamente legato e per le quali trascura la famiglia (senza nemmeno fare finta di nasconderlo, se non a mamma, che poi ci rimane male).

"Io credevo che per me potesse tradursi in realtà il sogno di tutti gli uomini intellettuali: - essere costantemente infedele a una donna costantemente fedele.
'Che cerchi? Tutte le ebrezze della vita? Esci, va, inebriati. Nella tua casa, come un'immagine velata in un santuario, la creatura taciturna e memore aspetta. La lampada, dove tu non versi mai una stilla d'olio, rimane sempre accesa.' Non è questo il sogno di tutti gli uomini intellettuali?
Anche: 'In qualunque ora, dopo qualunque fortuna, ritornando, tu la ritroverai. Ella era sicura del tuo ritorno ma non ti racconterà la sua attesa. Tu poserai il capo su le sue ginocchia; ed ella ti passerà lungo le tempie l'estremità delle sue dita, per magnetizzare il tuo dolore.'"

(Ma che danni ha fatto nella mente dell'uomo il mito di Ulisse?)

Fin qui la storia potrebbe essere banalmente dannunziana e pure un po' allergizzante. La crudeltà e la freddezza di Tullio nei confronti di Giuliana nella prima parte del romanzo è allucinante, ma incredibilmente realistica, perfetto specchio dell'uomo narciso egocentrico ed egoriferito. Tutto cambia però quando Tullio viene mollato in tronco dall'amante e in breve tempo si ritrova a scoprire uno scioccante segreto: Giuliana è incinta e il padre non è di certo lui.
Io sono quel tipo di donna che non è attratta dal genere dannunziano nemmeno fosse l'ultimo uomo sulla faccia della terra; anzi, gli mollerei volentieri una scarpata in faccia metà del tempo. Ecco, è proprio il tipo di uomo che mi suscita violenza, quindi questo colpo di scena, che poi tanto colpo di scena non è perché lo si avverte arrivare fin dall'inizio, è stato goduriosissimo.
Da lì in avanti la narrazione si fa più oscura, contorta, perché più intima e personale, più incentrata sui tormenti e le mille contraddizioni di Tullio, che non sa come reagire alla situazione.

E' inutile nasconderlo, anche perché D'Annunzio lo dice nella prima pagina del romanzo: l'innocente del titolo è questo bambino figlio dell'adulterio, un infante non voluto né dal padre né dalla madre, ma che porta invece scompiglio e dolore nella loro casa, persino desiderio di morte. Fino a giungere al gesto più estremo e mostruoso: l'omicidio.

[Spoilers ahead!]

Possiamo davvero considerare, d'altronde, un infanticidio ciò che fa Tullio? Mi è piaciuto molto come D'Annunzio ha trattato questo tema, prima di tutto con un'introspezione molto realistica e che per questo lascia a volte il lettore perplesso, senza parole: Tullio è un inconcludente, nella vita sa fare poco e niente, come tutti i superuomini perdenti dannunziani; perciò anche nel delitto, come nel rapporto amoroso, è in balia di un'altalena di emozioni e desideri che lo portano a lasciar fare quasi totalmente al destino.
Cosa fa davvero Tullio? Espone il bambino alla finestra aperta sul vento invernale per poco più di un paio di minuti, poi si spaventa, ha paura di essere scoperto, e lo rimette al calduccio. Può essere davvero questa la causa della morte del piccolo, anche se a così breve distanza? Non è invece più probabile che il bambino abbia preso un malanno dagli adulti che gli stavano attorno o dalle sorelle più grandi? Ovviamente questo non lo sapremo mai e a Tullio non interessa; lui si sente comunque partecipe, colpevole della morte del piccolo.

[End of spoilers]

La caratterizzazione dei due protagonisti adulti della storia, Tullio e Giuliana, mi è piaciuta molto. Una delle cose che più mi ha colpito di Tullio è l'infantile mancanza di pentimento: anche quando ha momenti di dispiacere, di senso di colpa, non mostra di aver interiorizzato il proprio errore, di aver imparato dal proprio vissuto. In tutti i suoi desideri è sempre preda dell'istinto o dell'emozione del momento, incapace di anteporre buon senso o razionalità al capriccio, e quando si trova a dover prendere decisioni difficili, da vero adulto, colme di responsabilità, va in crisi. Se dimentico che Gabriele D'Annunzio era inquietantemente simile ai suoi protagonisti trovo il tipo umano descritto verissimo e ben rappresentato.
Invece Giuliana è un mistero, un segreto che avrei voluto svelare, indagare, ma che l'autore non ci mostra mai davvero. La donna è un essere insondabile per lui, segue le sue meccaniche aliene, così lontane da quelle dell'uomo che le sta accanto da essere incomprensibili. Tullio non sa nulla di Giuliana; pensa di conoscerla e la idealizza, la immagina, proietta i sentimenti e i desideri che lui vorrebbe trovare in lei mentre lei vive una sua esistenza segreta, di cui il lettore è altrettanto ignorante. Giuliana è un personaggio oscuro, sofferente, anch'ella ricca di contraddizioni, ma molto intensa nelle sensazioni, spesso esagerata. Forse è anche questa impossibilità, da parte mia, di entrare in contatto con lei davvero, di scoprire cosa senta e cosa pensi dietro al paravento di svenevole silenzio stoico, che me l'ha resa così attraente. Come avrà reagito alla fine, alla morte dell'innocente? Si sarà ripresa dal suo letto di malattia, che era anche un modo per punirsi? Sarà cambiato qualcosa tra lei e Tullio? E soprattutto, ciò che c'era tra loro due era ancora salvabile?

Non tutto mi è piaciuto, chiaramente. Il linguaggio di D'Annunzio è anche piuttosto complesso, ricco di arcaismi e costruzioni contorte, di citazioni in lingua straniera (non tradotta), che rendono la lettura più lenta. E' necessaria una buona cultura letteraria di base e una concentrazione superiore alla media per seguire la narrazione dannunziana; non è più un autore che proporrei agli studenti al liceo, se non per brevi brani in lettura condivisa e commentata in classe. Inoltre, per quanto interessante fosse l'introspezione psicologica del protagonista, alcuni passaggi sembrano davvero troppo lunghi e ripetitivi. Anche alcuni mezzi stilistici, utilizzati per sottolineare simboli e metafore, saltano fin troppo all'occhio.
In conclusione, questo romanzo è stato interessante e mi ha dato molti spunti inattesi, mi ha fatto rivalutare D'Annunzio da assolutamente illeggibile a potenzialmente stimolante e mi ha fatto fare un altro po' pace con la letteratura italiana. Niente che mi abbia cambiato la vita, vabbè, ma non tutto può essere nelle nostre corde...

Curiosità: in quest'opera D'Annunzio cita Tolstoj. E' proprio necessario che io riavvicini anche quest'autore l'anno prossimo...

mercoledì 22 novembre 2017

Frances Hodgson Burnett - La piccola principessa + Il giardino segreto

Io ero una bambina precoce, lo devo dire. Mi sono bruciata l'infanzia, da un certo punto di vista, perché quando ho imparato a leggere (tardino per essere una bambina precoce, ma sospetto di essere un po' disgrafica e chissà, magari anche un po' dislessica, anche se questo ha sempre influito soltanto sulla mia velocità di lettura e scrittura) mi sono in fretta stancata delle storie per bambini. Le trovavo infantili, il che immagino sia naturale, ma la mia vena infantile si era già un po' prosciugata e agognavo a qualcosa di più adulto, più complesso. Quindi mentre ho continuato a guardare cartoni animati e film per bambini (e peraltro non ho smesso manco adesso...) nelle letture mi sono rivolta a qualcosa di più adolescenziale: fantascienza, fantasy, horror soft. Ai tempi la Mondadori riforniva i preadolescenti di collane a tema e io mi ci sono tuffata con 4 o 5 anni di anticipo, facendone una scorpacciata.
Così mi sono persa tutto un mondo di classici per l'infanzia. Come si suol dire, non è mai troppo tardi: sto recuperando ora, un libro alla volta. So che leggere questo genere di romanzi da adulti non fa e non può fare lo stesso effetto di leggerli nel momento giusto, ma è anche interessante riscoprirli con uno sguardo diverso, cercando di immedesimarsi nel piccolo lettore e al contempo nello scrittore che ha voluto lasciare questa storia alle nuove generazioni.
Ciò che mi sta molto aiutando in questo è il mio lavoro, per assurdo. Purtroppo per il secondo anno di fila mi tocca guidare per 40 minuti circa per raggiungere una delle scuole in cui insegno. Questo significa 1 ora e 20 minuti di tempo di guida buttato, tempo che avrei potuto utilizzare con profitto leggendo qualcosa, se non lavorando. Grazie al cielo c'è chi ha inventato gli audiolibri. Io per molto tempo sono stata restia ad avvicinarmi a questo mondo, perché ascoltare un romanzo è diverso da una lettura personale, ragionata. Le tempistiche, le modalità, il coinvolgimento... Tutto è differente. Però ho scoperto che per me l'audiolibro è proprio il modo migliore per affrontare i classici per l'infanzia. Hanno una velocità diversa dai romanzi per adulti, sono fatti un po' per essere anche letti ad alta voce, no? Inoltre le descrizioni tendono a essere meno lunghe e complesse, il linguaggio utilizzato in generale più diretto e le elucubrazioni ridotte notevolmente.
Tutto ciò quindi mi ha portato a setacciare il web alla ricerca di fonti di audiolibri. Ci sono tantissimi siti, tanto che andrebbe fatto un post a parte. Io amo leggere in lingua originale, se possibile, e quindi mi sono rivolta a Librivox, un sito di audiolibri americano, in cui i lettori sono tutti volontari e i libri tutti scaricabili gratuitamente, perché non più coperti da copyright. C'è veramente di tutto su quel sito, va esplorato.

La mia scelta è ricaduta, per plurime ragioni, su una serie di libri che aspettavano da tempo il loro momento, e i primi due selezionati sono stati "A Little Princess" ("La piccola principessa") e "The Secret Garden" ("Il giardino segreto"), due dei romanzi più famosi di Frances Hodgson Burnett. Quest'autrice, di origini britanniche ma poi emigrata negli Stati Uniti, ha trovato la propria fortuna proprio nella scrittura di romanzi per l'infanzia, non tanto perché le storie entusiasmassero i bambini quanto le mamme. La sua prima opera, "Little Lord Fauntleroy" ("Il piccolo Lord") ebbe un incredibile successo di pubblico e ancora oggi a Natale ce lo becchiamo ogni anno in versione cinematografica. La mia generazione, invece, ha conosciuto "La piccola principessa" attraverso i cartoni animati giapponesi, con la celeberrima serie "Lovely Sara", che ora posso dire fatta piuttosto bene.
Quante ore passate a piangere...

"La piccola principessa" vede come protagonista la piccola Sarah Crew, un bambina già orfana di madre cresciuta dal padre che la adora e la vizia in ogni modo possibile ed immaginabile. Per garantirle la migliore istruzione viene iscritta in un collegio per ragazze di buona famiglia a Londra e così Sarah si ritrova a dover lasciare la natia India e il padre per affrontare questa nuova avventura. Trascorrono così alcuni anni, finché la sua sorte volge al peggio e anche il papà della povera Sarah viene a mancare... Da quel momento la sua vita si fa più dura: senza più denaro né parenti che si possano prendere cura di lei, la bambina viene spogliata di qualsiasi avere e tenuta all'interno della scuola come aiutante e tuttofare, vittima di continue angherie, per non parlare del freddo, della fame e della solitudine.

Conoscevo già la storia, almeno a grandi linee, ma il personaggio di Sarah mi ha piacevolmente sorpreso: pur essendo una bambina straordinaria, per forza d'animo e intelligenza, l'autrice riesce a non farla apparire perfetta e quindi irreale e fastidiosa. Viene ripetuto più volte come Sarah non sia considerata granché bella e, per quanto sia una bambina di buon carattere, è sicuramente poco socievole, più interessata ai libri e ai propri sogni che agli altri. Il suo modo di relazionarsi è sempre piuttosto egocentrico, basato sui propri passatempi, e per questo tende a raccogliere attorno a sé le ragazzine dal carattere più debole e problematico, che hanno bisogno di un leader da seguire e da cui dipendere. Spesso si arrabbia e risponde male sia alle compagne che alle insegnanti, mostrando una sicurezza di sé giustificata dalla propria intelligenza e cultura ma certamente poco incoraggiabile in una ragazzina di fine '800. Ovviamente questi dettagli non fanno di lei una creatura davvero meno perfetta, ma lasciano un po' di spazio all'immedesimazione. Inoltre mi ha colpito come la scrittrice sottolinei che l'essere tanto brava, per Sarah, non è un merito, ma il risultato del semplice destino: la bambina è nata con un carattere naturalmente paziente, curioso e incline alla lettura e alla riflessione, è portata a prendersi cura degli altri e all'insegnamento. Nulla di tutto ciò è frutto di sforzo di volontà né della sua educazione; anzi si sottolinea come qualsiasi altra bambina, al suo posto, sarebbe divenuta arrogante, viziata e tirannica assai più dell'odiata Lavinia, l'allieva più temuta della scuola. Un tocco extra che mi ha fatto apprezzare questa ragazzina è quanto alcuni aspetti della sua personalità mi abbiano ricordato me da piccola. Non ero proprio così, ma alcuni comportamenti li ho riconosciuti e posso confermare che di meritevole nell'essere un topo da biblioteca e un avvocato delle cause perse non c'è nulla, ma solo una certa fortuna.

Lo stile della Burnett è quello tipico dei libri per bambini, con dialoghi semplici e descrizioni brevi ma efficaci, nessun riferimento storico o politico e con la frequente intromissione dell'autrice nella narrazione. La trama è piuttosto scontata, almeno dalla metà in poi si capisce come si concluderà, anche se mantiene quel pizzico di crudeltà da non garantire un lieto fine al cento per cento.
La mentalità dei personaggi è intrisa delle idee dell'epoca, con una forte divisione in classi sociali e pesanti giudizi razziali, che al giorno d'oggi ci fanno storcere il naso. Becky, la piccola serva di casa che diventerà la più intima compagna e alleata di Sarah una volta rimasta orfana, non potrà mai davvero essere sua amica, perché l'abisso sociale che le divide impedisce una tale parità di ruoli: potrà diventare la sua domestica, o la sua dama di compagnia, ma per quanto venga trattata con affetto ci sarà sempre un "Miss" di troppo, tra loro.
Mi ha sorpreso, invece, l'assenza di una certa stucchevole religiosità onnipresente che ho spesso ravvisato in altre pubblicazioni per il pubblico femminile dell'epoca. Ho sempre pensato che l'eccesso in questo rendesse i protagonisti irreali e un po' esasperanti; almeno questo è l'effetto che mi ha fatto, tanto per citare un romanzo, "Piccole Donne" di Louise May Alcott. In questo romanzo, al contrario, la presenza del divino è quasi inesistente. I personaggi non pregano mai perché Dio intervenga a risolvere i loro problemi o perché dia loro forza, Sarah e le altre non vengono mai incitate a sforzarsi di essere buone bambine per andare in paradiso, persino la morte è vissuta in modo molto laico e Sarah non trascorre molto tempo a immaginare il fato dei propri genitori. Ogni azione buona sgorga dal cuore, non da un precetto, ed è basata sull'osservazione del mondo e l'empatia, un approccio molto moderno e che ben si adatta alla società odierna.

Il capitolo finale racchiude, a mio avviso, il vero messaggio dell'autrice per i suoi lettori. Protagonista non è più Sarah, ma Anne, una bambina povera e affamata salvata da una panettiera che la prende con sé. Sarah, che per prima ha aiutato Anne quando viveva per strada, le affida il compito di prendersi cura degli altri bambini poveri della zona, in ricordo delle loro passate sofferenze. E' un'investitura, quasi, perché Sarah pensa che la bontà si trasmetta: chi fa del bene ispira altre persone a fare lo stesso, perché il bene può essere contagioso quanto e più delle cattive azioni e un solo gesto di gentilezza può cambiare la vita di una persona per sempre.

Ci sono molte somiglianze tra Sarah Crew e la protagonista del secondo romanzo di quest'autrice che ho ascoltato, "Il giardino segreto". In questa storia incontriamo Mary Lennox, che potremmo definire una Sarah mai amata e nata con un pessimo carattere. Entrambe sono nate in India, sono bambine cresciute sole e rimangono presto orfane. Entrambe vengono spedite in Inghilterra contro la propria volontà e vi arrivano da outsiders, da estranee. Eppure sono due personaggi dal carattere completamente diverso.
Personalmente ho trovato Mary difficile da sopportare ed essendo una bambina egocentrica e stizzosa la scrittrice è riuscita perfettamente nel suo intento. Peccato abbia reso più faticoso l'andamento del romanzo... Mary è una bambina che ha sofferto un enorme torto: le è stato completamente negato l'amore. I genitori, in particolare la madre, sono stati totalmente assenti e anaffettivi; i servitori, che di lei si sarebbero dovuti occupare, erano tutti nativi indiani e provvedevano solo a fare in modo che la bambina non desse problemi, creando un piccolo mostro malaticcio, sporco, aggressivo e infinitamente solo. La vita di Mary cambia radicalmente quando un'epidemia di colera scoppia nella zona in cui la sua famiglia vive e stermina prima i servitori e poi entrambi i suoi genitori. Chi rimane in vita scappa e lei rimane lì, abbandonata e dimenticata. Sarebbe morta di fame e di sete se non fosse stata trovata per caso da alcuni ufficiali dell'esercito... La scena in cui Mary si scopre sola è di una tristezza mortale, così come la reazione della bambina alla morte dei genitori e della balia: non prova niente, perché lei con tutte queste persone non è mai stata capace di creare legami.
La sua vita non sembra migliorare granché, però, nel giungere in Inghilterra: a prendersi cura di lei ora dovrebbe essere lo zio, un uomo tormentato dalla propria menomazione fisica (è gobbo dalla nascita) ma ancor maggiormente dalla tragica perdita della moglie, dieci anni prima. Mary si ritrova nuovamente sola, nuovamente rinchiusa in una casa che non conosce e non può esplorare e senza alcun legame affettivo. La sua sorte sembrerebbe segnata, se non fosse per Martha, la giovane domestica che si occupa di lei, e soprattutto per il grande giardino di villa Craven, che tanti segreti nasconde...

"Il giardino segreto" è una storia di guarigione, di lutto e solitudine ma anche di speranza e ripresa. Mary, il signor Craven e Colin, il cuginetto segreto di Mary, sono accomunati da una vita dolorosa che ha compromesso in parte la loro capacità di amare e farsi amare e che ha tolto loro la gioia di vivere e il futuro. La scrittrice sottolinea quanto l'amore sia fondamentale per la vita di chiunque perché si possa essere felici mettendo a confronto questi personaggi cupi, tutti ricchi, e la famiglia di Martha, la cui madre ha dato alla luce ben dodici figli che non navigano certo nell'oro, ma che sono tutti amati e curati e per questo sereni e pieni di voglia di vivere.
Ecco, qui cominciano le magagne che io ho trovato in questo romanzo e che me l'hanno fatto piacere meno del precedente, nonostante sia considerato l'opera migliore dell'autrice. Molti dei personaggi sono piuttosto assurdi, per non dire proprio irreali, primo fra tutti Dickon, il fratello di Martha che vive tanto in contatto con la natura da saper parlare con gli animali. Altrettanto estremizzata e quindi non credibile è la madre di Martha e Dickon, una sorta di madre assoluta, capace di prendersi cura di tutti, anche dei bambini degli altri, di tenere la casa in perfetto ordine e funzionamento, sfamare tutti e fare una serie di lavoretti. In più è un pozzo di saggezza popolare, stimata da chiunque la conosca. Una figura mitica, oserei dire... D'altronde non è nemmeno realistico che un bambino come Colin, allettato da dieci anni (10!), possa riprendersi alla velocità descritta nel romanzo, cambiando anche caratterialmente in modo tanto repentino.

Il messaggio di speranza è bello e l'amore per la natura che la scrittrice trasmette con le proprie descrizioni (un inno allo Yorkshire) è palpabile, ma non mi è bastato. Ho trovato il libro più pasticciato dell'altro, anche nei contenuti. La narrazione è più frammentaria, diversi capitoli utilizzano il punto di vista di personaggi secondari, incluso un pettirosso, e l'attenzione si sposta nel corso del romanzo da Mary a Colin, tanto che nell'ultima parte del romanzo sembra che tutto giri soltanto attorno a lui. Molte sono anche le cose accennate e rimaste irrisolte o non spiegate: la misteriosa bambina dei ritratti, la stanza indiana... A queste si aggiungono i capitoli sulla magia secondo Colin, una tiritera infinita che è un mix di religiosità e ispirazione new age anzitempo ma che mi ha annoiato fino alla morte. Persino il finale sembra un po' tranciato, come se mancasse qualcosa. Affrettato, ecco, questa è la parola che mi viene in mente.
L'impressione generale che ne ho avuto è di una storia molto ripetitiva nei contenuti, in cui l'autrice passa molto tempo ad allungare il brodo dicendo sempre le stesse cose e che invece manca di approfondimento e di una conclusione adeguata. Brutalmente trovo che il romanzo peggiori da quando Mary incontra Colin.

Quindi un pollice alzato assolutamente per "La piccola principessa", mentre mi riservo di esprimere una certa delusione per "Il giardino segreto", che comunque ha avuto tanta fortuna anche sullo schermo senza aver bisogno della mia approvazione. Frances Hodgson Burnett mi è sembrata una scrittrice interessante con alcuni spunti piuttosto moderni e mi ha lasciato con la voglia di approfondire la sua terza opera maggiore, "Il piccolo Lord".

mercoledì 15 novembre 2017

75. José Eduardo Agualusa - Teoria generale dell'oblio

Credo che il Realismo Magico, come genere letterario, abbia cambiato la storia della letteratura mondiale. Parte dall'Europa, come di consueto, ma chi l'ha portato alla ribalta con più successo, secondo me, sono gli scrittori sudamericani della seconda metà del Novecento, come Gabriel García Márquez, che mica per niente vinse il Nobel. Non si è però certo fermato lì: più mi inoltro nelle letterature del mondo più noto che questa corrente è ancora piena di forza in molti Paesi in via di sviluppo, forse perché questo genere ben si adatta a raccontare Paesi in preda alla guerra, mischiandovi però le stranezze delle leggende e del folklore locale. Di certo è più facile raccontare la guerra se la vita delle persone è intrisa di un po' di magia...

José Eduardo Agualusa è, a quanto pare, uno dei più importanti scrittori contemporanei in lingua portoghese. Un'altra cosa che si impara girando per il mondo letterariamente è che i Paesi colonizzati dal Portogallo sono proprio tanti, sia in Africa che nel Sud-Est asiatico, e ancora oggi per loro la lingua della cultura è il portoghese. Uno di questi Paesi è l'Angola e Agualusa è proprio angolano, bianco ma angolano. Questa è un'altra delle cose che mi ha colpito molto nei libri ambientati in ex-colonie: la grande presenza di bianchi e meticci nella popolazione. Sarà che molti scrittori sono in effetti bianchi o di origini miste, ma nella mia mente l'Africa aveva colori molto più scuri. Be', buon per me e la mia ignoranza.
"Teoria generale dell'oblio" è un romanzo del 2012, che però io ho scoperto solo quest'anno perché è stato finalmente tradotto per Neri Pozza (una nota di pregio a Neri Pozza che, negli anni, ha portato in Italia molti romanzi di scrittori africani contemporanei). Mi ha attirato subito e, appena mi è arrivato, è finito in cima alla pila dei libri del mondo da leggere.

Il romanzo è ispirato a una storia vera. Diciamo che tutti gli elementi fondanti sono veramente successi, mentre il tocco di Realismo Magico è opera dell'autore. Protagonista della vicenda è Ludo, una donna portoghese affetta da un brutto caso di agorafobia, dovuto a un trauma adolescenziale spiegato soltanto nelle ultime pagine del romanzo. Essendo molto legata alla sorella, quando questa decise di sposare un uomo angolano e di trasferirsi con lui a Luanda Ludo si lasciò convincere a seguirla. Tutto sarebbe andato liscio se in Angola, pochi anni dopo, non fosse scoppiata la rivoluzione...
L'Angola ottenne l'indipendenza dal Portogallo nel 1975, in seguito a una rivoluzione armata che mise in campo una serie di forze diverse, perlopiù di ispirazione comunista, ma sostenute da mercenari di svariati Paesi, soldati sudafricani, congolesi, brasiliani e cubani. Com'è ovvio, l'instabilità del nuovo potere politico portò il Paese immediatamente alla guerra civile, che si protrasse in maniera particolarmente sanguinosa nel sud del Paese fino al 1988/1991. Non che sia del tutto cessata l'ostilità tra i gruppi politici interni: ancora nel 2004 lo stato era in una costante situazione di guerriglia e fu necessario l'intervento dell'ONU per aiutare il governo a catturare i ribelli... Ciononostante ad oggi l'Angola è un Paese mediamente benestante, dove in anni recenti c'è stato un grande sviluppo economico, grazie anche alla ricchezza principale del territorio: i diamanti.
Potremmo dire che il libro di Agualusa parla di tutto questo, ma ciò che noi percepiamo leggendolo è solo uno scorcio dei ribaltamenti storici e politici: Ludo infatti, terrorizzata dalla guerra e dalla scomparsa improvvisa della sorella e del cognato, si chiuse in casa e murò la porta d'ingresso, vivendo così in completa reclusione per più di vent'anni. Fu un bambino a ritrovarla, ormai invecchiata, quasi morta di fame e bisognosa di cure, un orfano di nome Sabalu che andò a vivere con lei e si prese cura di quella che da allora considerò la sua nuova famiglia.

"Teoria generale dell'oblio" è fondamentalmente la storia di una solitudine; anzi, più precisamente di una sparizione. Ci furono molte sparizioni misteriose in Angola in quegli anni, come riporta nel romanzo il giornalista Daniel Benchimol: non solo Ludo potrebbe non essere mai esistita, così come sparisce il suo appartamento, ma si narra di aerei interi che si sono come vaporizzati da un momento all'altro. Spariscono persone e animali, oggetti e persino luoghi.
Ludo, tra le mura della casa che è il suo unico riparo dal mondo, scrive: diari, quaderni di riflessioni, e finita la carta inizia ad usare le pareti: quella è la sua teoria dell'oblio, le memorie ed elucubrazioni di una donna sola ed isolata dal mondo, e che ciononostante ha ancora tanto da dire.
Mi ha affascinato molto il personaggio di Ludo e la sua strana, drammatica vita da reclusa. Una monaca di clausura laica, da un certo punto di vista, che coltiva la propria mente nascondendo il proprio corpo. Ho sofferto molto con lei il dramma della fame e della sete, della scelta di bruciare dei libri, di sacrificare altri esseri viventi alla propria sopravvivenza. Per quanto sia una donna distrutta dal proprio passato, Ludo è una lottatrice, una donna che non si arrende mai. Sarebbe stato facile lasciarsi morire in quella grande casa, nel silenzio della propria camera da letto, smettendo di mangiare e bere. Invece lei, assurdamente, vuole vivere. Dico assurdamente perché Ludo chiaramente vive una nonvita, essendo chiusa in casa e priva di affetti. Ci fa riflettere sul valore della vita, su ciò che significa davvero essere vivi.

Attorno a Ludo, nel romanzo, turbinano una miriade di altri personaggi. Inizialmente non si coglie davvero il nesso, ma quella è la magia: farli convergere tutti, spiegare ogni accadimento intrecciando la vita di una decina di persone legate dal destino. Devo ammettere che mi sono un po' persa tra i vari personaggi secondari, perché faticavo a ricordare i nomi e le loro storie, ognuna così diversa e particolare ma slegata dalle altre. Alla fine però tutto viene spiegato, acquista un senso, ogni curiosità del lettore viene soddisfatta.

Lo stile di Agualusa è semplice, scorrevole, i capitoli brevi fanno l'effetto delle ciliegie, uno tira l'altro. E' un romanzo piuttosto breve, 221 pagine in tutto, che mi sono divorata in 3 giorni e senza nemmeno avere tanto tempo per leggere.
L'unica nota negativa è che alla fine mi sembra che il romanzo sia andato un po' decrescendo in emozione. Mentre la prima metà, focalizzata soprattutto su Ludo, mi ha molto coinvolta (e infatti non riuscivo a smettere di leggere), nella seconda parte i molti personaggi frammentano un po' la narrazione, facendo diventare il racconto più vario ed avventuroso, ma portando via un po' di quello slancio emotivo di empatia con la protagonista. Perché diciamocelo, a parte il piccolo Sabalu c'è poco da empatizzare con gli altri.
Comunque "Teoria generale dell'oblio" è un bel libro, dalla storia curiosa e che dà prova di una grande capacità narrativa africana.